Nel cuore del Cilento, tra monti e borghi che sembrano fermarsi nel tempo, qualcosa sta lentamente cambiando l’aspetto di questi luoghi. Cuccaro Vetere – piccolo paese di circa 300 abitanti sulle pendici del Gelbison – racconta una storia vera di scelte diverse di vita, capaci di lasciare un segno concreto sul territorio. Tra gli abitanti, Alberto e Maria Chiara, giovani in fuga dal caos delle città del Nord, hanno optato per un’esistenza più lenta, un stile di vita sostenibile che di rado si incontra oggi. Lei e lui, entrambi con un passato professionale e universitario solido, hanno puntato su un’ospitalità che, più che luoghi da visitare, offre vere esperienze, valorizzando quel che c’è di autentico nel patrimonio locale, sia culturale che ambientale. Un aspetto spesso trascurato, ma qui invece centrale.
Nel borgo, un antico convento francescano – ora ristrutturato grazie a fondi europei – ospita un experience hotel con nove camere. Conserva ancora affreschi trecenteschi e piccoli dettagli settecenteschi, elementi che parlano al tempo. Dentro, l’arredo combina pezzi rurali recuperati con linee di design contemporaneo, essenziali e pratiche. Gli ospiti vivono qualcosa di unico: silenzio, natura in prima fila e sapori dall’orto locale, come i pomodori e la pasta fresca. La scelta di Alberto? Una sorta di ritorno alle radici familiari – e, curiosamente, un fenomeno comune tra molti giovani che cercano di riscoprire il legame con i propri luoghi d’origine.
Un territorio che dialoga con la storia e la natura
Non è solo un paesaggio dal aspetto pacato, il Cilento dove si sono stabiliti Alberto e Maria Chiara. Qui la storia antica convive con un ambiente che, per fortuna, resta ancora intatto. Cuccaro Vetere insieme ai paesi vicini conserva tracce di epoche diverse: dai greci di Velia ai normanni del Medioevo. E sì, le comunità locali fanno la loro parte organizzando eventi culturali che tirano fuori questo patrimonio dimenticato. In chiese dismesse diventate gallerie d’arte o con visite guidate nel centro storico: occasioni per chi ci abita e per chi arriva, per sentire una storia viva, che si impasta nel tessuto urbano.

Uno degli angoli più affascinanti è la gola dello Stige, scavata dal fiume Mingardo tra rocce calcaree imponenti. Qui spunta un ponte ferroviario del 1894, con otto grandi arcate (ancora maestoso, nonostante l’abbandono). Ai suoi piedi, il borgo di San Severino – quasi fantasma con i suoi castelli e torri longobarde – ricorda il peso strategico che ha avuto nelle epoche passate. Al momento, le associazioni del posto lavorano con passione per tenere viva la memoria storica, grazie a eventi, incontri e iniziative condivise: segno di una resilienza territoriale che racconta quanto la comunità tenga.
La natura sembra il vero padrone di questi luoghi: castagni, rocce calcaree, pini d’Aleppo si alternano in un paesaggio ricco e vario. Fiumi e gole tracciano sentieri naturalistici molto apprezzati. Durante l’inverno un dettaglio non da poco emerge: la luce cambia, magari più intensa o soffusa, e con essa si mette in risalto la selvaggia bellezza della zona. Ecco, chi arriva da città difficilmente nota questi piccoli mutamenti, ma sono proprio loro a dare un’identità precisa al territorio.
Arte, gastronomia e ospitalità come motori di sviluppo
Basta pensare a Pisciotta, cittadina che ospita una biennale di arte contemporanea capace di trasformare tutto il borgo in una galleria a cielo aperto. Stranieri attratti dal matrimonio tra paesaggi rurali e marini comprano immobili, animando così la vita locale e investendo qui. Appena lì, un boutique hotel nato in un ex monastero offre un’accoglienza curata, con terrazza panoramica sul Golfo di Policastro e cucina basata su ingredienti locali e stagionali.
La tradizione culinaria cilentana ha un ruolo da protagonista: prodotti come la mozzarella nella mortella, le alici di menaica e la pasta Carosella spiccano nelle cucine delle strutture locali. Qui, le famiglie portano avanti ricette antiche, che fanno della scelta di materie prime tradizionali una vera bandiera. Un esempio? La Ficheria di Santomiele, dove il celebre fico bianco del Cilento DOP viene essiccato con cura e reinterpretato in piatti moderni, cosa non scontata.
Le zone montane di Omignano e Rocca Cilento sono invece la patria di allevatori che hanno recuperato razze locali, fondamentali per mantenere la biodiversità e produrre formaggi di qualità, realizzati secondo metodi artigianali. Qui l’ospitalità tende a nascere da progetti familiari e comunitari, e accogliere significa molto più di offrire un posto letto: è un vero scambio culturale, un dialogo sui valori della lentezza e della cura delle tradizioni.
Chi vive in città, spesso, non si accorge di quanto questi piccoli centri riescano a conservare una rete sociale attiva e vitale, che va ben oltre il semplice turismo. Palazzo Angelina a Rocca Cilento, ad esempio, è stato restaurato con tanta attenzione e oggi vede intrecciarsi collezioni d’arte e iniziative culturali di rilievo. Così si concilia passato e presente, senza perdere mai quella memoria e autenticità che definiscono il carattere del territorio – e per chi abita qui, è un motivo di orgoglio vero.
