File di camion incolonnati davanti ai cancelli degli impianti, piazzali pieni di balle di plastica e operatori che scuotono la testa: è con questa immagine che Walter Regis, presidente di Assorimap, lancia l’ultima mossa del comparto: “Da oggi fermiamo tutto”. Lo stop annunciato riguarda la chiusura degli impianti privati di riciclo e può mettere a rischio la gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata in tutta Italia. Dietro alla decisione non c’è un episodio isolato, ma una crisi di competitività che si è aggravata nel tempo e che ha reso insostenibile l’attività per molte aziende della filiera.
Impianti bloccati e bollettini di un sistema sotto pressione
Secondo i riciclatori la situazione è già ai limiti: i piazzali dei centri di stoccaggio e selezione risultano sovraccarichi e molte aree operano al massimo delle autorizzazioni. Regis ricorda che un tavolo ministeriale era stato convocato e che si attendeva una chiamata operativa che non è ancora arrivata; il mancato seguito ha reso evidente che gli appelli precedenti non erano semplici avvertimenti. Se gli impianti smettono di processare i lotti, il sistema di selezione rischia il blocco nel giro di settimane: i riciclatori non potranno più ritirare la plastica conferita dai cittadini e i centri di raccolta finiranno per saturarsi.
Le cifre presentate da Assorimap chiariscono il quadro economico: gli utili di esercizio del settore sono diminuiti dell’87% dal 2021, scendendo da 150 milioni a 7 milioni nel 2023, con proiezioni verso lo zero per il 2025; il fatturato è calato del 30% dal 2022. A comprimere i margini sono i costi dell’energia — tra i più alti in Europa — e la concorrenza delle importazioni extra-Ue di plastica, spesso offerte a prezzi molto bassi. Un dettaglio che molti sottovalutano: anche piccoli ritardi nelle convocazioni istituzionali finiscono per tradursi in scelte drastiche degli operatori, con effetti immediati sulla catena dei rifiuti.
Proposte, nodi irrisolti e l’effetto domino sul territorio
Assorimap ha portato al tavolo del ministero una serie di misure concrete per provare a invertire la tendenza. Tra le proposte spicca la richiesta di anticipare al 2027 l’obbligatorietà del contenuto di plastica riciclata negli imballaggi, insieme al riconoscimento dei crediti di carbonio per chi produce materia seconda. Sul piatto ci sono anche l’estensione dei certificati bianchi, maggiori controlli sulla tracciabilità delle importazioni e sanzioni efficaci verso pratiche sleali. Sono soluzioni tecniche che mirano a ridurre la pressione competitiva e a valorizzare il riciclo meccanico nazionale.
Il rischio, avvertono gli operatori, è doppio: da un lato la perdita di capacità produttiva del riciclo meccanico made in Italy, che è strategico per la transizione ecologica; dall’altro la paralisi pratica della raccolta differenziata, con cassonetti pieni e piattaforme di conferimento senza spazio. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che il problema non resta confinato ai poli industriali: i disagi arrivano rapidamente nelle province e nei comuni, con costi aggiuntivi per il servizio e possibili ricadute ambientali. Se lo stallo dovesse proseguire, la filiera rischia un effetto domino che ridisegnerà mercati e aree di stoccaggio. Alla fine, la posta in gioco è chiara: servono decisioni operative e risorse concrete, perché la tenuta del sistema dei rifiuti dipende dalla capacità di mantenere attivi gli impianti che trasformano scarti in materia prima.
