La mattina in cui i pescatori del Polesine hanno tirato su le reti e non hanno trovato più le vongole, è cambiata la vita di intere comunità costiere. Nelle acque dell’Adriatico si è affermata una specie estranea che scava, rompe e compete per il cibo: il granchio blu. Probabilmente arrivato con le acque di zavorra delle navi, il crostaceo ha colonizzato lagune e canali, compromettendo allevamenti e habitat. Lo raccontano i tecnici del settore: reti danneggiate, stock ridotti e una filiera in difficoltà.
L’invasione che ha messo in crisi le attività costiere
Il fenomeno si è sviluppato con rapidità: branchi di granchi blu che penetrano nei fondali sabbiosi, raschiano i letti di mitili e si nutrono delle riserve di molluschi. Secondo valutazioni del settore, la filiera delle vongole ha registrato perdite significative, con impatti economici che si riverberano oltre i soli allevamenti. Un dettaglio che molti sottovalutano è la perdita di infrastrutture: reti strappate e impianti compromessi richiedono investimenti per essere ripristinati, aggravando la situazione dei pescatori.
Il comportamento della specie altera anche gli equilibri degli ecosistemi lagunari: predazione su specie autoctone, alterazione dei sedimenti e modifiche nelle reti trofiche. Gli interventi di contrasto tradizionali — trappole, pesca intensiva e reti selettive — hanno contenuto parzialmente la diffusione, ma non l’hanno fermata. Per questo motivo, le associazioni di categoria e i ricercatori hanno cercato soluzioni che non siano solo di controllo, ma anche di valorizzazione. Un fenomeno che in molte località costiere italiane viene osservato con crescente preoccupazione, e che richiede misure coordinate tra enti locali, università e industrie.
Un aspetto che sfugge a chi vive in città è l’effetto sociale: famiglie legate alla pesca che vedono ridursi i redditi e giovani che valutano di lasciare il settore. Per questo, la risposta non può limitarsi alla rimozione del crostaceo, ma deve includere strategie economiche praticabili e sostenibili.

Da minaccia a materia prima: il progetto Fil Blu
In risposta a questa emergenza, Confcooperative Fedagripesca e una rete di partner hanno lanciato Fil Blu, un’iniziativa che cerca di trasformare il problema in opportunità. Il progetto coinvolge il Consorzio delle cooperative di pescatori del Polesine, le università di Milano e Padova, la startup Feed from Food, l’azienda veneta Sanypet e una rete di rivenditori specializzati. L’obiettivo è semplice e pratico: recuperare il granchio blu come risorsa per il petfood.
La tecnologia messa a punto separa gusci e carni, permettendo di ottenere una farina proteica ad alto valore nutrizionale. Questa base è stata trasformata in un paté umido per gatti, testato dal punto di vista nutrizionale e organolettico, pronto per la vendita al pubblico. La scelta dei gatti come punto di partenza deriva dalla loro sensibilità al gusto: se il prodotto supera il gusto felino, ha buone possibilità di essere apprezzato anche in altri segmenti. Un fenomeno che molti operatori osservano come un opportunità per ridurre gli sprechi e creare valore locale.
Il processo produttivo, realizzato nello stabilimento di Bagnoli di Sopra (Padova), rientra in una logica di economia circolare: meno scarti biologici da smaltire, redditi alternativi per i pescatori e una filiera che valorizza una risorsa autoctona. Il paté verrà posizionato nella fascia premium del mercato del petfood, con un prezzo indicativo di 1,75 euro per confezione, e l’idea è di replicare il modello in altre regioni costiere interessate dall’invasione.
Un aspetto che sfugge a molti è la necessità di integrare questa strada con misure di controllo biologico e pesca selettiva: solo così la trasformazione del granchio in materia prima potrà diventare sostenibile e duratura. Nella pratica, i primi segnali di adozione vengono dai porti del Polesine, dove alcuni pescatori già consegnano i crostacei direttamente ai punti di raccolta, modificando la filiera produttiva locale.
