Non basta distinguere tra proteine animali e vegetali: nuove ricerche rivelano effetti nascosti sulla flora intestinale. Uno studio della North Carolina State University mostra che molte proteine sfuggono alla digestione, alterano il microbiota intestinale e potrebbero influire su metabolismo, infiammazione e salute generale.
La crescente attenzione per le diete proteiche nasconde una verità poco discussa: non tutte le proteine alimentari vengono digerite completamente. Alcune, anziché essere assimilate dall’intestino tenue, proseguono il loro percorso fino al colon, dove iniziano a interagire con la flora batterica intestinale.
Queste interazioni, secondo quanto emerso dallo studio pubblicato su Food & Function dalla North Carolina State University, possono avere conseguenze inattese sulla salute, e mostrano quanto sia fuorviante classificare le proteine solo come “animali” o “vegetali”.
Le proteine sfuggono alla digestione e finiscono nel colon: cosa accade davvero nell’intestino
I ricercatori hanno esaminato sei fonti proteiche comuni – soia, caseina, riso integrale, piselli, lievito e albume d’uovo – somministrandole a due gruppi di topi: uno privo di microbiota intestinale, l’altro con microbiota convenzionale. La novità dello studio sta nell’aver tracciato il percorso delle proteine lungo l’intero tratto digestivo, non solo nelle feci. Attraverso la spettrometria di massa, è stato possibile identificare quali proteine vengono digerite, quali restano intatte e quali diventano accessibili ai batteri intestinali.

La scoperta chiave è che tutte le fonti proteiche testate lasciano residui nelle feci, anche quelle considerate altamente digeribili, come l’albume d’uovo. “Una parte considerevole dell’albume – spiega Ayesha Awan, autrice principale – sfugge alla digestione. Non ci aspettavamo risultati simili”. Più eclatante il caso del riso integrale, che ha mostrato un’efficienza digestiva estremamente bassa: circa il 50% delle sue proteine è stato rilevato nelle feci, non assorbito né scomposto.
Questo significa che una parte rilevante delle proteine che assumiamo non viene utilizzata dall’organismo, ma raggiunge il colon, dove il microbiota intestinale decide il loro destino. Alcune vengono degradate e trasformate in cataboliti utili, come acidi grassi a catena corta, altre restano intatte o si accumulano, potenzialmente interferendo con l’equilibrio batterico.
Lo studio smentisce dunque la semplificazione “animale vs vegetale”: è la singola fonte proteica a fare la differenza. Alcune proteine di origine vegetale, come la soia, contengono fattori antinutrizionali come l’inibitore della tripsina di Kunitz, che ne riducono la digeribilità. Allo stesso modo, l’albume contiene proteine antimicrobiche come avidina e lisozima, anch’esse resistenti ai processi digestivi.
Il ruolo centrale del microbiota e le implicazioni per salute, dieta e ricerca futura
L’analisi ha messo in luce un dato cruciale: le vere differenze tra le fonti proteiche emergono solo nell’intestino crasso, dove il microbiota intestinale ha il tempo e lo spazio per interagire con le proteine non digerite. La digestione nel tratto superiore – stomaco e intestino tenue – è simile sia nei topi con flora intestinale che in quelli germ-free. Le variazioni iniziano nel colon, dove la presenza di microrganismi attivi cambia radicalmente il comportamento delle proteine residue.
Secondo Manuel Kleiner, docente di biologia vegetale e coautore dello studio, “questo approccio dimostra per la prima volta che non si può valutare una proteina solo in base alla sua origine. Bisogna capire cosa accade dopo, quando entra in contatto con l’ecosistema intestinale”. E questo è un passaggio fondamentale anche per chi segue regimi alimentari iperproteici.
Se alcune proteine sfuggono alla digestione, il loro effetto sull’organismo cambia. Possono alimentare il microbiota in modo utile, oppure generare squilibri, aumentare la fermentazione o favorire la produzione di composti potenzialmente pro-infiammatori. Le conseguenze, spiegano i ricercatori, riguardano aspetti come il rischio di malattie metaboliche, le patologie infiammatorie intestinali e la risposta immunitaria. In pratica, ciò che arriva al colon influenza l’intero organismo.
Gli studi futuri si concentreranno su questi aspetti: identificare quali proteine hanno un impatto positivo o negativo, come si comportano in individui con diversi tipi di microbiota, e se alcune di esse possano addirittura avere funzioni regolatorie sulla salute intestinale.
Nel frattempo, emerge con chiarezza un messaggio: il contenuto proteico di un alimento non dice tutto. È la qualità, la struttura e la risposta digestiva a determinare l’effetto sull’organismo. Un cambio di prospettiva che potrebbe influenzare etichette nutrizionali, raccomandazioni alimentari e progettazione di future diete terapeutiche.
