Tre luoghi d’Abruzzo che sembrano usciti da un film (e puoi visitarli in un giorno)

L’Abruzzo che non ti aspetti: natura selvaggia e borghi che sembrano sospesi - www.dialmabrown.it

Lorenzo Fogli

Novembre 5, 2025

Un giorno nel Parco d’Abruzzo tra Scanno, Pescasseroli e Camosciara: borghi, natura selvaggia e panorami che restano nel cuore.

Ci sono luoghi che non hanno bisogno di slogan per essere raccontati, luoghi in cui entri e ti sembra di tornare a una versione più lenta di te stesso. Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è uno di quei posti, e seguire un itinerario che unisce Scanno, Pescasseroli e la Camosciara diventa un modo per toccare con mano un’Italia che resiste, che vive di montagne, boschi profondi, strade che salgono e ridisegnano l’orizzonte a ogni curva. È un viaggio che parte presto, quando la nebbia abbraccia ancora i versanti e l’aria profuma di legna e silenzio, e finisce che senti ancora addosso il rumore lieve dei faggi mossi dal vento.

Scanno e Pescasseroli: pietra, fede, memoria e una natura che abbraccia ogni passo

La prima tappa è Scanno, incastonato a oltre mille metri e amato da fotografi di ogni epoca, da Cartier-Bresson a Giacomelli. Stradine strette, scalinate che sembrano disegnare un labirinto antico, case in pietra che raccontano famiglie e stagioni trascorse senza fretta. Qui il tempo non corre, si appoggia sui vicoli e si posa sui tetti come un uccello di passo. Ci sono chiese che custodiscono silenzi lunghi, una piazza che è ancora un luogo di incontri veri, e quel Lago di Scanno che appare come un riflesso verde e profondo, così calmo da sembrare un pensiero. Camminare lungo le sue rive è quasi meditazione, un modo per lasciare a terra il ritmo cittadino e risintonizzarsi con qualcosa di più antico.

Da Scanno si sale verso Pescasseroli, quasi 1200 metri di aria chiara e luce che cambia all’improvviso. Qui senti il Parco Nazionale sotto i piedi, nei boschi che avvolgono il paese e nella presenza quasi invisibile ma costante dell’orso marsicano, simbolo di un equilibrio fragile che ancora resiste. Il borgo ha una dignità sobria, fatta di pietra gentile e architetture che parlano di secoli di vita di montagna. La Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, la Fontana degli Orsi, il centro visita del parco dove si entra e si capisce quanto la biodiversità non sia un concetto astratto ma qualcosa che pulsa qui, tra valli e creste. E poi il cibo semplice, genuino, gli arrosticini, i formaggi locali, il vino rosso che scalda anche quando fuori l’aria punge. Ogni passo racconta un patto antico tra uomo e natura, un equilibrio che in città spesso ci dimentichiamo perfino di cercare.

Camosciara: acqua, roccia, faggete e quel silenzio che non esiste altrove

Ultima tappa, la Camosciara. Bastano pochi minuti di macchina ma sembrano un salto in un mondo separato, quasi sacro. Il parcheggio è un confine: oltre, il suolo cambia, l’aria si fa più umida, il bosco diventa una cattedrale naturale. Cammini lungo il torrente, senti il rumore dell’acqua che scende veloce tra le rocce e capisci perché questo luogo è considerato una delle riserve più preziose d’Europa. La Cascata delle Ninfe e quella delle Tre Cannelle appaiono tra gli alberi come una promessa mantenuta, acqua che cade e si spezza in mille gocce, luce che filtra e si posa sui muschi. Qui si rallenta davvero, si respira, ci si ferma. Se sei fortunato, un camoscio potrebbe guardarti dall’alto, o potresti scorgere impronte nel fango, tracce del passaggio silenzioso del lupo appenninico.

Il sentiero è alla portata di tutti, ed è proprio questa la sua forza: la montagna non si concede soltanto a chi ha gambe allenate, si offre anche a chi arriva per la prima volta, a bambini, anziani, a chi decide semplicemente di camminare piano. Sedersi su una roccia, ascoltare l’acqua, guardare i faggi che cambiano colore a seconda della stagione — rosso vivo in autunno, verde intenso a giugno — è un modo per ritrovare una dimensione che la vita quotidiana ci ruba senza che ce ne accorgiamo. È un paesaggio che ti entra dentro con delicatezza, senza scenografie forzate, e resta lì, come un invito a tornare.